mercoledì 18 settembre 2013

Il treno giapponese

Non credevi di rimanerci così sotto. La ristrutturazione di una casa è come un treno giapponese che va a quattrocento all'ora. Ti porterà anche lontano ma se ti passa sulla testa ti spappola e di te lascia solo brandelli.

Ecco. Tu stai così. Sbrindellata.

Avevi progettato di entrarci a giugno, là dentro, per poi renderti conto a maggio che non ce l'avresti mai fatta.

Avevi riprogettato di metterci piede a luglio, magari senza che fosse proprio tutto tutto pronto. Per poi capire che prima di agosto non avresti visto luce.

Cocciuta come un cane stupido, fissi il trasloco il 7 agosto - giorno prima della partenza per tre settimane di meritatissime vacanze, allego foto - e componi valigie a casaccio rovistando negli scatoloni. Ti fai pietà da sola, ma ti dici che tanto tra qualche ora avrai i piedi in ammollo e i tic nervosi corredati da occhio traballante saranno presto un ricordo.

Effettivamente va proprio così: poche ore di Grecia ti rimettono al mondo e ti fanno dimenticare la mandria di bestie che per mesi hanno gravitato intorno a te: l'idraulico bestemmiatore che sbaglia quattro volte l'impianto; l'elettricista con l'occhio da cernia che dimentica le prese, ne aggiunge dove non servono e lascia i fili penzoloni perché "è un peccato levarli subito" (frase che stai ancora cercando di decifrare); il falegname che sbaglia TUTTO. Te li dimentichi.

Ti godi tuo figlio, quell'affare al quale dedicasti il titolo di un blog un tempo semi-seguito e ormai semi-abbandonato. Ti godi i progressi di quel fusto di ottanta centimetri scarsi che ormai chiama tutti come se non vi fosse un domani, imita ogni rumore come un pappagallo e fa finta di dispiacersi quando lancia le cose per terra. Gli improvvisi pure una festicciola per il suo primo compleanno, con tanti bimbi che lui non si caga di striscio e tanti regali che riempie di mazzate, rompendone immediatamente i due terzi.
Acchiappi due diciottenni autoctone che si chiamano entrambe Maria e le trasformi in novelle babysitter; le incolli al nano mattina e sera - sera e mattina, per lo sdegno di tutte le mamme Napisan del mondo (seiunapazzalascituofiglioaunasconosciutaanzidue-potrebberoesserefiglietue-madresnaturata). Effettivamente una delle due rischia di eliminarti il nano per sempre in un paio di occasioni, ma lo salvi in corner e tutto È bene quel che finisce bene. Resta il fatto che le due Marie ti salvano la vacanza, ti scremano le rotture di palle e ti fanno godere solo il meglio del pargolo, alla faccia delle mamme Napisan.

Insomma vacanza pseudoperfetta ma poi sempre al dunque devi tornare. Hai fatto la vaga per tre settimane ma la realtà ti inchioda: LA CASA NON È PRONTA NONOSTANTE TU ORMAI CI VIVA DEFINITIVAMENTE DENTRO. È lì che capisci il peso insostenibile dell'avverbio DEFINITIVAMENTE. Niente frigo. Niente bidet. Niente mobili. Scatoloni. Piccoli medi grandi. Mensole da inchiodare. Nuovi buchi al muro da fare. Polvere. Disordine. Scatoloni. Buste. Pacchi. Scatoloni. Cassette. Polvere. Casino. Livelle. Trapani. Viti ovunque. Un bambino di un anno che comincia a camminare. Il lavoro. Le amiche. Un uomo.

Tutto in ordine sparso, come nella tua testa. Come in questa casa. Che ancora non profuma di casa ma che già ti sta tanto - ma tanto - tanto - sugli zebedei.


















1 commento:

  1. Il tuo ometto ha un adorabile visino di attaccabrighe :) Io ho vissuto con gli scatoloni per anni, invece di fare il cambio stagione inscatolavo la roba per il trasloco successivo, quindi non sai quanto ti capisco!

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